American Fiction, una graffiante commedia su verità e bugie

American Fiction, una graffiante commedia su verità e bugie

In American Fiction, Thelonious “Monk” Ellison (Jeffrey Wright), è uno scrittore e un accademico afroamericano molto frustrato. Il suo ultimo romanzo, una rielaborazione di “I Persiani” di Eschilo, non sta prendendo piede, e il suo agente Arthur (John Ortiz) riferisce che gli editori vogliono “un libro nero”, qualcosa come “We’s Lives in Da Ghetto”, un recente debutto di grande successo dell’autrice Sintara Golden (Issa Rae).

Infuriato da quella che vede come una visione profondamente limitata della Blackness nel mondo letterario, una notte si versa da bere, apre il suo laptop e con una smorfia sul viso, inizia a scrivere “My Pafology”, una storia sotto pseudonimo che parla di padri fannulloni, rapper, crack e sparatorie con poliziotti.

American Fiction, il film d’esordio malvagiamente intelligente dello scrittore vincitore dell’Emmy Award Cord Jefferson (“Watchmen”), ha vinto il prestigioso premio People’s Choice al Toronto International Film Festival e l’Oscar 2024 per la miglior sceneggiatura non originale ed è facile capire perché: è una satira tagliente e molto divertente. 

Non è uno spoiler dire che Monk guarda, inorridito, mentre il libro che ha scritto per scherzo raggiunge il tipo di successo immediato che non ha mai visto prima nella sua carriera – e che non è molto bravo a mantenere la personalità accidentale che ha creato. “Ti avevo detto di vestirti con un look street style” sibila Arthur a Monk, che è indignato: l’autore, che ha scambiato la sua consueta camicia abbottonata con una semplice maglietta grigia pensa di essere vestito perfettamente per quel ruolo. E deve ricordare a sé stesso, nelle interviste, di modulare la voce su toni bassi e di imprecare molto, e magari di non ordinare “uno Chenin Blanc secco” quando incontra un potenziale agente di Hollywood.

Avvolta attorno a questa satira perfetta dell’industria del libro c’è una seconda storia toccante: quella di Monk e della sua famiglia, con la quale fatica a connettersi. È il più vicino a sua sorella Lisa (una Tracee Ellis Ross meravigliosamente asciutta); le loro conversazioni hanno la cadenza ironica e divertente di fratelli che in una tempesta troppo spesso sono stati l’uno il porto dell’altro. 

Sua madre (Leslie Uggams) è fragile; suo fratello (Sterling K. Brown), un autoproclamato emarginato che porta solo caos: Monk cerca coraggiosamente di fare la cosa giusta per ciascuno di loro, ma troppo spesso si rende conto di non sapere come fare. Jefferson, adattando il romanzo del 2001 “Erasure” di Percival Everett, ci permette di stare a nostro agio con questi personaggi, nessuno dei quali è cattivo o santo, mentre guardiamo una storia di inganno svolgersi deliziosamente, con alcune verità su razza, rappresentazione e narrativa.

Camminando elegantemente sul confine tra satira assurda e dramma familiare, questo film, tenuto insieme dalla performance rilassata ma sempre riflessiva di Wright è un’intelligente parodia di come l’ampiezza della cultura nera venga ridotta a cliché.

1200 675 Sonia Venturelli
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